Cari amici,
l’impulso di scrivere ha superato qualsiasi altro sentimento irrazionale che venendo in Perù può nascere in una ogni persona che abbia un minimo di sensibilità. Il Perù è uno stato che vive ai margini dei mondo in un disagio totale:fisico, poiché nella cordigliera delle Ande si superano i 4000m e vivere diventa un istinto primordiale; politico, poiché dal ’90 anno in cui Fujimori è andato al governo la situazione è precipitata notevolmente senza più riprendersi sociale, poiché la popolazione vive da anni ai margini della sussistenza che ovviamente è andata peggiorandosi con l’instaurarsi di questa dittatura.
A molte persone che hanno intrapreso questo viaggio dopo ho sentito ripetere sempre le stesse parole: “noi occidentali, colonizzazioni, multinazionali, stile di vita”. Di fronte a chi mi ha detto questo mi sono sentita in disparte perché a mio avviso, questo è solo un approccio primario alla povertà di questo paese come di molti altri paesi dell’Africa o dell’Asia. La nostra indignazione non deve trasformarsi in carità ma in un aiuto efficace alle persone che hanno più bisogno. Il nostro operare deve essere il frutto della nostra cultura e della nostra educazione, soprattutto deve nascere come contraccambio di culture e tradizioni diverse dalle nostre. La tolleranza e il rispetto ci devono sempre accompagnare nel nostro cammino per ricordarci chi siamo noi e chi sono loro. I mass-media trasmettono i reportage dei paesi dei terzo mondo nelle ore tarde della notte, forse per illudersi che non esistono!
L’arrivo nella capitale non è stato molto diverso da quello che mi aspettavo poiché avevo letto i giornali e visto la T.V. Chiaramente mi hanno colpito le contraddizioni di questa città: i carri armati ai margini delle strade, i soldati ad ogni angolo per far sentire un potere onnipresente e poi gli uomini che davanti ad essi scambiano i soldi al nero. Il corso principale è pieno di persone che chiedono l’elemosina, di persone e bambini che vendono e comprano tutto dai cuccioli di cane alle scarpe. Man mano che ci si allontana dal quartiere principale il degrado diventa insopportabile, ma grazie all’aiuto dei missionario laico Maurizio Caneva che vive qui riusciamo a muoverci anche nei dipartimenti al di fuori di Lima.
I mezzi di trasporto che ci portano verso il Cusco sono o per i poveri, con un bus che deve percorrere una strada sterrata in pessime condizioni impiegando più di un giorno, o per i ricchi, con un aereo il cui biglietto non ha un prezzo fisso dipende dalla compagnia impiegando un’ora. E Cusco era la prima capitale del Perà prima della colonizzazione, simbolo della cultura Inka , infatti il centro storico ne è degno anche se le condizioni igienico-sanitarie sono esasperate. Per cause di forza maggiore il soggiorno al Cusco deve durare almeno tre giorni poiché l’altitudine (3350 m) non ci lascia respirare.
Finalmente partiamo per il dipartimento periferico di Paucartambo dove Maurizio ha fondato il Comedor della Vergin del Carmen. Ci avverte del viaggio disagiato, ma l’immaginazione non è abbastanza. Il bus può salire solo tre giorni alla settimana perché la strada è percorribile solo in un senso, è strapieno di gente, i bambini sono attaccati con un panno alla maniglia di sostegno e qualche volta cadono. La strada è dissestata, più volte si forano le gomme quando i bus non cadono negli strapiombi. L’unico medico che lavorava al Comedor è morto proprio così.
Il Comedor è una struttura enorme ed uno spiraglio di luce fra le costruzioni del villaggio, attende a 230 bambini con un pasto completo giornaliero e secondo le disponibilità con una ripartizione differente di cose da vestiti scarpe e utili scolastici. Alle 13.30 i bambini vengono al Comedor con il sorriso sulle labbra. Essi sono ingenuamente bambini, ma Maurizio vuole insegnarli ad essere grandi e indipendenti, infatti tutti i giorni il cucchiaio per mangiare se lo portano da casa e una volta alla settimana un sacco di patate. Un giorno alla settimana le infermiere della mensa escono attendendo alle comunità agricole al di fuori dei villaggio. Le strade sono percorribili solo a piedi perché sono strette e tra i boschi. Nella comunità non c’è la luce ed il centro di salute governativo, punto di riferimento per le infermiere, è una baracca squallida e oscura. Per l’acqua c’è un’unica fonte in tutto il villaggio. Le persone che cercano un aiuto medico hanno problemi respiratori dovuti al freddo e alla malnutrizione, i bambini hanno la scabbia e i pidocchi. L’autorità della comunità è un signore apparentemente anziano che ci accoglie con entusiasmo e stima, offrendoci perfino da bere. La fila dei degenti fuori è interminabile, ma il tempo scarseggia e molti dovranno aspettare la settimana successiva per essere curati. Quando usciamo dal “centro” una bambina raccoglie una caramella caduta nella fognatura a cielo aperto per mangiarla. Non senza difficoltà riusciamo a non piangere per le condizioni in cui vivono.
Si riparte e quello che ci attende non è certo migliore anzi.
Maurizio ha fondato un altro comedor nel dipartimento periferico di Paruro. Il mezzo con cui lo raggiungiamo è una vecchia macchina su cui viaggiamo in sette persone. La struttura del comedor è fatiscente, ma Maurizio ci dice di non arrendersi: infatti sta costruendo per i bambini una struttura simile a quella di Paucartambo. 1 bambini aumentano giorno per giorno addirittura devono fare i turni per mangiare. Anche qui le infermiere cercano di aiutare le persone del paese ma noi non abbiamo tempo per assisterle e vedere la realtà del paese.
Il nostro faticoso viaggio è ricompensato da una notizia molto importante che ci attende al Cusco: Montesinos, generale di stato, è stato preso mentre pagava una tangente di 20.000$ per ottenere il sostegno di un parlamentare dell’opposizione al governo Fujimori. Le strade strabordano di gente che manifesta per i propri diritti e le forze dell’ordine non riescono ad intervenire perché il desiderio della propria libertà è più forte di qualsiasi istituzione. Lo slogan che ad alta voce si ripete dice: “Libertà, Giustizia, Democrazia”. E’ molto simile allo slogan della Rivoluzione francese “Liberté, Egalité, Fratemité”. Per molti storici e non, la Rivoluzione francese è stata una rivoluzione borghese ma ciò non toglie che essa ha dato la speranza e lo stimolo a tutti coloro che credono nei diritti umani e nella dignità dell’individuo in quanto tale.
Ciò che scriviamo non vuole essere retorica, ma uno spunto di riflessione per coloro che sono sensibili a tutto questo e che si sentono impotenti.
Il nostro pensiero e il nostro agire dipendono solo da noi.
Riccarda e Angelo